Rebecca Horn a Rivoli, alle radici del senso contemporaneo

da | Giu 10, 2025 | askanews

Torino, 10 giu. (askanews) – Una mostra difficile da dimenticare, che ricostruisce la pratica di una artista dotata di visione e prospettiva. Il Castello di Rivoli dedica un’esposizione intensa a Rebecca Horn, artista tedesca scomparsa nel 2024, che aveva più volte esposto nel museo torinese. “Ci tenevo a ripercorrere la relazione che c’era tra l’istituzione e l’artista – ha detto ad askanews Francesco Manacorda, direttore del Castello di Rivoli – e darle uno spazio che non ha mai avuto in Italia. questa è la prima retrospettiva museale di Rebecca Horn in Italia, e oltretutto volevo avere un nome che invitava a una risonanza emotiva”. L’aspetto più evidente della mostra è legato al modo in cui Rebecca Horn ha saputo anticipare molte delle tendenze che avrebbero caratterizzato il contemporaneo: dall’ibridazione corpi-macchine al ragionamento sulla natura, dalla definizione di uno spazio differente fino a temi spirituali. “Soprattutto studiando i lavori degli ultimi anni – ha aggiunto Marcella Beccaria, vicedirettrice del museo e curatrice della mostra – quello che mi ha colpito è stata in realtà la profonda spiritualità che li connette, la profonda attenzione rispetto alle possibilità proprio di guardare al tempo non necessariamente come una condizione lineare in senso occidentale, ma più vicino al pensiero orientale, quindi pensarlo più come a una entità dinamica, un’entità circolare nella quale diciamo nascita, vita, morte non sono dei punti finali, ma sono parte appunto di un più ampio insieme circolare”.Nella Manica lunga del Castello le opere di Horn sfilano come un percorso dentro noi stessi, come un racconto di un presente che abbiamo forse intuito, ma nel quale ci sembra, come diceva Agamben, di non essere mai stati. “Ci sono opere monumentali, tipo questa alle mie spalle – ha concluso il direttore Manacorda – ma sono comunque sempre connesse con la dimensione, diciamo, dell’umano leonardesco, la dimensione dei due metri per due metri su cui poi si aggiungono queste protesi che a volte sono meccaniche, a volte sono quasi teatrali, ma che sono sempre un’estensione in riferimento a che cosa vuol dire essere un essere umano oggi”.Ed è evidente che quella sull’umano resta, anche nel nostro tempo frammentato la domanda fondamentale a cui le arti cercano di rispondere.

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